mercoledì 8 ottobre 2014

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APPROFONDIAMO ANCORA UN PO':

La CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. II CIVILE , con SENTENZA nr. 16430 del 27 settembre 2012 si occupa dello ius sepulchri e segnatamente della questione relativa alla individuazione dei destinatari dello ius sepulchri.
E’ pacifica la distinzione, risalente al diritto romano, tra sepolcro ereditario e sepolcro familiare o gentilizio - distinzione tuttora accolta senza sostanziali contrasti dalla dottrina e dalla giurisprudenza.
Nel sepolcro ereditario il diritto alla sepoltura deve ritenersi disciplinato dalle regole della successione mortis causa.
Il sepolcro familiare, invece, è destinato dal suo fondatore a sé e alla propria famiglia e non a sé e ai propri eredi.
Con riferimento a tale ultimo tipo di sepolcro, un problema che spesso si pone è quello della individuazione dèi soggetti destinatari del relativo diritto di sepoltura.
Ebbene, per orientamento costante della giurisprudenza di legittimità, in difetto di una diversa volontà del fondatore, il sepolcro deve presumersi destinato sibi familiaeque suae, con la conseguenza che il diritto alla sepoltura va ritenuto spettante, iure sanguinis, a tutti i di lui discendenti ed ai rispettivi coniugi.
Ciò premesso, costituisce principio di diritto oramai consolidato, quello secondo cui “nella cerchia dei familiari del fondatore, aventi diritto alla sepoltura nella tomba di famiglia, devono farsi rientrare, stante il significato semantico della parola "famiglia", purché non risulti una espressa contraria volontà del fondatore stesso, tutti coloro che - come anche i collaterali - sono a lui legati da vincoli di sangue, determinandosi, tra i vari titolari, una comunione indivisibile con la conseguenza che resta escluso ogni potere di disposizione del diritto da parte di taluni soltanto di essi ed anche dello stesso fondatore, così come il potere di alcuno dei titolari di vietare, consentire o condizionare l'esercizio dello ius inferendi in sepulchrum spettante agli altri contitolari (così Cass. 27 gennaio 1986 n. 519).
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MASSIMA: Nella cerchia dei familiari del fondatore, aventi diritto alla sepoltura nella tomba di famiglia, devono farsi rientrare, stante il significato semantico della parola "famiglia", purché non risulti una espressa contraria volontà del fondatore stesso, tutti coloro che - come anche i collaterali - sono a lui legati da vincoli di sangue, determinandosi, tra i vari titolari, una comunione indivisibile con la conseguenza che resta escluso ogni potere di disposizione del diritto da parte di taluni soltanto di essi ed anche dello stesso fondatore, così come il potere di alcuno dei titolari di vietare, consentire o condizionare l'esercizio dello ius inferendi in sepulchrum spettante agli altri contitolari.
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a seguire indichiamo un'altra recentissima sentenza che invece chiarisce il presupposto giuridico del possibile successivo intervento della Pubblica Amministrazione nel caso in cui il concessionario perpetuo (proprietario) si "disinteressi" del proprio sepolcro:


CONSIGLIO di STATO, SEZ. V - 26 SETTEMBRE 2014 n. 4841
Lo ius sepulchri, ossia il diritto, spettante al titolare di concessione cimiteriale, ad essere tumulato nel sepolcro, garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene e si atteggia come un diritto reale nei confronti dei terzi. Ciò significa che, nei rapporti interprivati, la protezione della situazione giuridica è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali assoluti di godimento (cfr. Cons. St., Sez. V, 8 marzo 2010, n. 1330). Nell’ordinamento nazionale il diritto sul sepolcro già costituito sorge con una concessione amministrativa di un’area di terreno o di porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere demaniale (art. 824 c.c.): la concessione, di natura traslativa, crea a sua volta nel privato concessionario un diritto reale (suscettibile di trasmissione per atti inter vivos o mortis causa) e perciò opponibile iure privatorum agli altri privati, assimilabile al diritto di superficie, che comporta la sussistenza di posizioni di interesse legittimo – con la relativa tutela giurisdizionale – quando l’amministrazione concedente disponga la revoca o la decadenza della concessione per la tutela dell’ordine e della buona amministrazione (Cass. civ., sez. II, 30 maggio 2003, n. 8804; 7 ottobre 1994, n. 8197; 25 maggio 1983, n. 3607; Cons. St., sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5294). 

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